lunedì 30 gennaio 2012

THE WEEK IN A WORLD MAP _ lun. 30.01.2012




1 - CUBA - l’11 gennaio 2012, nell’aula magna dell’università dell’Avana è stato conferito, al Presidente della Repubblica Islamica dell’ Iran Mahmoud Ahmadinejad, un dottorato honoris causa in scienze politiche. Raúl Castro l’ha ricevuto poche ore dopo al palazzo della rivoluzione per confermare il suo sostegno al programma nucleare di Teheran e per sottolineare il diritto di tutti gli Stati all’uso pacifico di questa “energia”. Quando, il governo cubano, comincerà ad occuparsi dei problemi del paese invece di continuare a tenere per mano il regime di Teheran, distogliendo l’attenzione dalle difficoltà interne?
2 - PALESTINA – Gaza, 7 gennaio 2012. “Alcuni cittadini di Gaza e della Cisgiordania sono stati danneggiati dal governo e dai gruppi armati”, questo è l’articolo che ha scritto Mahmoud Abu Rahma, dirigente della ONG Al Mezan, e che gli è costato dodici punti di sutura a causa dei coltelli di alcuni uomini mascherati. Il secondo attacco in una settimana. La sua accusa era semplice, criticava il governo di Hamas e i gruppi armati di Gaza di non proteggere i cittadini. Gli abitanti preferiscono tacere. E dopo l’aggressione ad Abu Rahma si capisce anche il perché.
3 - EGITTO – il 25 gennaio 2012 è il primo anniversario delle rivolte che hanno portato alla caduta del regime di Hosni Mubarak. Queste le parole di Tarek El Kholi, portavoce del Movimento 6 aprile e Fronte democratico, ”… Presto daremo il via ad una nuova fase della rivoluzione, … non sarà violenta, nonostante quello che dicono i militari e i mezzi d’informazione vicini al potere ”. Adesso che i movimenti laici e progressisti hanno perso il loro candidato di riferimento Mohamed el Baradei sarà ancora più difficile vincere le ostilità del consiglio supremo delle forze armate e dei partiti islamici che hanno vinto le elezioni della camera bassa. Insomma per i giovani scesi in piazza un anno fa, c’è davvero molto da festeggiare?
4 - HAITI – il 12 gennaio 2012 migliaia di persone sono scese per le strade della capitale haitiana Port au Prince per chiedere un risarcimento ai caschi blu Onu colpevoli di aver portato nel Paese il virus del colera, che ha causato almeno 7 mila morti. La situazione, questa volta, non si ferma a semplici manifestazioni di piazza, stimolate da agenti più o meno esterni. In questa occasione è stato l'Istituto per la Giustizia e la Democrazia in Haiti a confermare che sta preparando una serie di iniziative da portare nei tribunali haitiani o statunitensi se l'Onu non accetterà di rispondere alle richieste. L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha fatto sapere che nonostante sia plausibile il modo con cui si è scatenata l'epidemia di colera, questo ancora non è stato provato scientificamente. Che sia il momento che l’ONU cominci a prendere seriamente in considerazione un cambio di politica e di gestione della situazione haitiana dopo tutti gli errori commessi?
5 - SENEGALDakar, il 28 gennaio un poliziotto è morto negli scontri scoppiati nella notte nella capitale dopo che il Consiglio costituzionale ha dato il via libera per un terzo mandato del presidente Abdoulaye Wade. L'ammissione dell'85enne Wade e l'esclusione del cantante Youssou Ndour dalle elezioni presidenziali del 26 febbraio ha scatenato la protesta di migliaia di oppositori che hanno attaccato gli agenti e dato fuoco a negozi e a pneumatici per le strade della capitale .

6 - TANZANIA – 25 gennaio 2012, a Dar es-Salaam, il governo tanzanese ha annunciato di essersi unito ai principali Paesi del mondo nella lotta alla pirateria nell'oceano Indiano. Lo ha rilevato il ministro della Difesa, Hussein Mwinyi, in una dichiarazione inviata ai media locali, nella quale sostiene che il suo Paese  "contribuirà con tutti i mezzi a sua disposizione all'azione di contrasto condotta da elementi estremisti somali a danno di navi commerciali ”. Finalmente una presa di posizione importante da parte della Tanzania che  si è unita, e si spera in maniera concreta, alla lotta contro i pirati somali che vede impegnata soprattutto le nazioni che si affacciano sull’Oceano Indiano.

7 - SOMALIA – Il 27 gennaio 2012, dopo 17 anni è stato riaperto l'Ufficio delle Nazioni unite di Mogadiscio, assente dal paese dal 1995, alla cui testa si trova il rappresentante speciale del segretario generale per la Somalia, Augustine Mahiga. "Occorre i somali sappiano", ha detto Mahiga al suo arrivo a Mogadiscio, "che la riapertura dell'Ufficio delle Nazioni Unite nel loro Paese segna l'inizio di una nuova era nel settore della cooperazione e dell'impegno politico, in un momento in cui il periodo di transizione volge al termine". Il giorno stesso del suo arrivo in Somalia il nuovo rappresentante dell'Onu è stato ricevuto a Villa Somalia dal presidente, Sheikh SharifSheikh Ahmed. Si spera sia arrivato il momento che l’ONU prenda una presa di posizione e non si sottragga alle sue responsabilità per quanto riguarda la gestione politica e la cooperazione in Somalia e in tutto il Corno d’Africa.

venerdì 27 gennaio 2012

"THE WEEK IN A WORLD MAP", nuova rubrica di HelpAndBirth_Blog_

I nostri obiettivi sono quelli di vivere il Sud del Mondo, di donare sorrisi alle persone, di creare tetti dove piove e libri dove gli scaffali sono vuoti, di costruire aule dove ci sono insegnanti,di sfamare le persone dove manca il pane e di aiutarli a conoscere i mezzi con cui costruirsi un futuro, nei nostri obiettivi rientra anche il dovere di far vedere alle persone un mondo ancora troppo sconosciuto. 

Cosi da oggi cominciamo a dare sfogo alla nostra voglia di raccontare, di documentare, di criticare e di elogiare il mondo in cui viviamo, non limitandoci soltanto ai nostri progetti e alle nostre aree di intervento, ma dando importanza soprattutto al Sud di questo mondo malato.

Cosi mi trovo a presentare la prima rubrica settimanale di HelpAndBirth_Blog_

"THE WEEK IN A WORLD MAP"

Una rubrica che uscirà tutti i lunedì sul nostro blog, e racconterà le notizie più rappresentative della settimana, quelle notizie che spesso in tv o in radio non passano, quelle notizie che spesso vengono filtrare e camuffate. In maniera breve ma allo stesso tempo esaustiva.
Ecco questo è quello che intende fare la nostra Onlus.
Documentare ciò che succede nel mondo.

Sperando di essere abbastanza interessanti, vi invitiamo a seguirci.

LENG









mercoledì 18 gennaio 2012

GIORNI 15-16-17

Gli ultimi tre giorni, passati a Dakar a conclusione dell’esperienza, ci lasciano il tempo di riflettere e ordinare i pensieri su quello che abbiamo appena vissuto.
Nonostante i numerosi imprevisti (senza i quali, a conti fatti, il viaggio non sarebbe stato lo stesso), il risultato è da considerarsi confortante: i contatti con le autorità locali sono stati stabiliti, instaurando un rapporto di rispetto e fiducia nel progetto; l’entusiasmo è rimasto costante da entrambe le parti, sia durante i nostri meeting e riunioni che altrimenti sarebbero state davvero interminabili, sia durante la nostra permanenza a Meckhè; l’accettazione della nostra presenza in quello che può essere definito un territorio “isolato” (sono ben pochi i segni di presenza occidentale, salvo l’imperante architettura coloniale), non possono che renderci felici.
Torniamo a casa con una nuova coscienza di ciò che stiamo facendo, e ci avviciniamo sempre di più a comprendere le reali dimensioni che sta assumendo questa avventura, rimanendo però costretti a mantenere i piedi saldi a terra: c’è ancora molta strada da fare per raggiungere l’obiettivo, e d’ora in avanti possiamo permetterci ancor meno di prima il lusso di ripararci dietro il muro della mancanza di materiale su cui lavorare.
Al nostro arrivo in Africa quelli che potevano essere considerati come pregiudizi o presunzioni di superiorità si sono subito dissipati, per cedere il passo a una spesso tacita accettazione dei fatti e della cultura da cui siamo stati letteralmente travolti, perché gran parte di quello che abbiamo imparato non si può trovare scritto in nessuna guida turistica o trattato riguardante il mondo in cui ci siamo lanciati. Anche scrivere queste parole fa sorridere, perché alla base di tutto permane la garanzia che un’esperienza di tale portata, se non viene vissuta in prima persona con tutto ciò che ne consegue, non può neanche lontanamente essere raccontata a parole o immagini. Abbiamo passato le vacanze lontano da casa, dalle comodità, dagli affetti a cui siamo tanto abituati, eppure la sensazione è quella di aver ricevuto molto più di quanto potesse darci l’ennesimo periodo di relax passato in Italia. I sorrisi dei bambini, la disponibilità e la collaborazione offertaci da chiunque si trovasse sul nostro cammino hanno egregiamente sostituito i pranzi e i regali a cui abbiamo rinunciato. È incredibile come l’allegria sia inversamente proporzionale agli averi di una persona: meno si possiede, più si è disposti a dare, meno si vuole, più si è felici, e la spensieratezza di tutti i soggetti che abbiamo incontrato hanno ribadito il concetto ogni minuto della nostra permanenza.
Comincia un anno nuovo, e noi di Help And Birth faremo in modo che sia un anno pieno di beneficenza, felicità, sforzi e determinazione, per riuscire a regalare una possibilità a chi con i propri mezzi e le proprie forze non riesce a costruirsele da solo. Avanti così.







mercoledì 11 gennaio 2012

GIORNO 14


Ultimo giorno a Meckhè, schiene nuovamente doloranti al nostro risveglio.
Diop è tornato durante la notte dal suo soggiorno a Dakar, dopo che suo fratello si è immolato per la causa andando a prelevarlo dalla capitale il giorno precedente.

A questo punto, non ci resta che visitare le scuole del circondario con i loro piccoli inquilini (appuntamento fissato per due giorni prima, equivalenti al record personale di ritardo di Diop). 

La nostra missione giornaliera consiste nel parlare con i docenti, per sensibilizzarli sul progetto e su quello che comporta, oltre al secondario ma tassativo obiettivo di smaltire tutte le penne, i quaderni e le caramelle portate dall'Italia.

Terminato il giro di una delle scuole elementari, le più popolate, giunge il momento di distribuire i "cadeau". 
Si scatena il putiferio.
Una massa indistinta di faccine nere e denti bianchissimi ci assale urlando e scalpitando per ottenere uno scatto fra quelli che Caterina e Melania hanno coraggiosamente effettuato, con enorme rischio per l'incolumità delle loro macchine fotografiche, o per salutare nella telecamera di Lorenzo, o più semplicemente per conquistare una delle agognate "tanga" (caramelle), la cui distribuzione è stata saggiamente affidata ai docenti. Il bollettino di guerra è quantomeno tragico: fra tiraggi di capelli vari, calci e pugni negli stinchi, il più provato risulta essere il presidente, con un dito sbucciato peggio di una banana, grondante fiotti di sangue!
Solo Giacomo, orchestrando un coro di piccoli adoranti che inneggiano il suo nome, riesce a dichiararsi effettivamente vincitore. 
Il tempo stringe, ci sono altre scuole da vedere (che poi si riveleranno essere in sciopero su iniziativa degli studenti), e il cartello che abbiamo amorevolmente fabbricato attende di essere piazzato prima che il sole tramonti. Con un paio di enormi chiodi e un'ardua scelta dell'albero a cui affiggere l'opera, Diop si rivela un asso del martello, donando a Meckhè il suo cartello d'ingresso in città nel giro di cinque minuti (!).

Felici, immortaliamo la scena e ci dirigiamo al nostro "bolide" Chevrolet per muovere verso casa di Moustapha Diagne, nostro fido collaboratore in quel di Prato. Dopo esserci resi conto di aver sbagliato casa e di essere stati portati per errore dal cugino del nostro amico (di cui abbiamo pure interrotto la preghiera), finalmente arriviamo a conoscere la famiglia in senso stretto, concedendoci a foto e schiamazzi in lingua Wolof. 

Rincasiamo per rifocillarci all'ultima cena con Imam e famiglia, facendo complimenti per la poca fame che viene facilmente sconfitta dalla stanchezza che si va accumulando. Prendiamo volentieri il thè, buonissimo grazie al gusto incredibilmente intenso e il metodo di preparazione particolare, caratteristico del Senegal, offertoci da Gora, tredicenne figlio di Diop. 
Ci rilassiamo con una doccia (a secchiate), il tempo scorre lento come sempre, e decidiamo di andare a dormire. 
Presidente Lorenzo e First Lady Caterina crollano in un sonno comatoso, mentre Melania e Giacomo, nonostante la mattanza di zanzare precedente il riposo, continuano ad esserne infastiditi, e il caldo asfissiante li convince definitivamente a trascorrere il resto della notte sul tetto (in realtà secondo piano di "Chez Diop", ancora da ultimare), aspettando l'alba a ritmo di Muezzin.


Mechkè - L'attuale "biblioteca"


Mechkè - Aula scolastica

Mechkè - L'invasione degli alunni

venerdì 6 gennaio 2012

GIORNO 13

 Giornata apparentemente fiacca, quella del tredicesimo giorno.

La pesante assenza di Diop, bloccato a Dakar dal primo sciopero dei trasporti della storia senegalese, ci costringe a casa per buona parte del giorno.

La notte ci ha provati considerevolmente, nonostante la stanchezza, visti i nostri giacigli improvvisati con gli immancabili materassi in pura gommapiuma: 5 centimetri di piacere puro (durati più o meno mezz’oretta, per cedere il passo a un mal di schiena galoppante).

Dunque, pranziamo come al solito a base di riso e pesce (il Thiep-bou-Dien), trovando come unica valvola di sfogo del primo pomeriggio quella di rendere ingestibili i piccoli studenti della scuola coranica (Madrasa), che sorge adiacente a casa nostra.
Al grido di “Tubab! Tubab!” (“uomo bianco” in lingua Wolof), ci prendiamo la briga di dirigere le coreografie improvvisate dai bambini, solitamente diligentissimi, che paiono non accorgersi nemmeno degli insegnanti che tentano disperatamente di mantenere il controllo della situazione.

Dopo questa simpatica parentesi, ci rendiamo definitivamente conto che senza un po’ di iniziativa da parte nostra sacrificheremo completamente una giornata. Quindi, gambe in spalla e decidiamo di tirare dritto per una strada sabbiosa in mezzo alla savana, diretti verso l’ignoto.

Dopo circa un’ora di passeggiata nell’afa del tardo pomeriggio, approdiamo a un villaggio in mezzo al nulla; i ritmi di qualcosa che ha tutta l’aria di essere tamburi suonati a festa ci attraggono come una calamita, e quella che in partenza doveva essere una camminata per occupare il tempo si è rivelata una delle esperienze più belle di tutta la spedizione.

La scena, dominata dai colori vivacissimi dei vestiti delle donne partecipanti, si presenta con un cerchio di sedie (circa un centinaio), circondate da gente di tutte le età, prevalentemente femmine.
Siamo invitati a prendere posto, e non ci resta che ammirare un vero e proprio spettacolo: le percussioni, consistenti in secchielli in plastica e insalatiere metalliche, scandiscono i passi della danza che si scatena all’interno del cerchio.

Mentre ci stiamo godendo la vista, Melania e Caterina vengono amichevolmente obbligate a partecipare alla festa, che si svolge a turni in cui le donne, senza un ordine preciso, si lanciano in mezzo a ballare per poi tornare a sedersi ai propri posti al termine del giro di battute.
Prima di essere gettate nella mischia, le nostre due intrepide ballerine vengono munite di gonna tradizionale, che agitano nel difficile tentativo di imitare le movenze delle altre partecipanti.
Un gesto eroico, a cui sfortunatamente Lorenzo e Giacomo non possono contribuire vista la esclusiva partecipazione di sole donne.
Prendiamo la via di casa, coscienti di aver visto un pezzo autentico della cultura senegalese. Il ritorno viene allietato ulteriormente da un carretto di passaggio, trasportante “quincaillèrie” (ferraglia) non meglio definita, che accoglie il nostro autostop con tanta felicità e poco posto sul carretto (abbiamo squarciato due paia di pantaloni per riuscire nell’impresa).

Ritorno a casa trionfale, con un bagaglio culturale che si arricchisce ogni giorno di più.








Mechkè - La preparazione del pranzo



Mechkè - Balli tradizionali


GIORNO 12


Assonnati e pieni di sabbia a causa della sera prima ci svegliamo con lentezza.
L’appuntamento a Meckhè viene spostato al giorno dopo e di conseguenza la partenza da St.Louis ritarda di qualche ora.
Il tempo passa, e noi giriamo per la città finendo di vedere gli ultimi angoli nascosti che ci erano sfuggiti, ciascuno seguendo la strada, i colori e l’atmosfera che più lo affascina.

La mattinata finisce, ponendoci il dubbio se andare a pagare le camere o andare a pranzo con gli ultimi CFA disponibili; scegliamo senza tanta difficoltà il pranzo. Fermandoci in un ristorante che ancora non avevamo visto, notiamo un menù ricchissimo e la curiosità ci porta verso piatti come “calamari al ginger” e “pesce grigliato all’arancia”. Eccezionali.

La lentezza africana a cui pensavamo di essere abituati ci trova nuovamente impreparati quando andiamo in direzione dell’albergo a pagare le camere; finalmente, piano piano, riusciamo a partire.

Usciti da St.Louis, corrompiamo il primo poliziotto di tutto il Senegal e ripartiamo dopo una stretta di mano, un sorriso, l’assicurazione scaduta (definita un “dettaglio” trascurabile) e 5000 CFA di meno. 
A parte il posto di blocco e qualche automobilista spericolato arriviamo a Meckhè, quando ormai il sole non c’è più.
Un po’ come tornare a casa.

 St. Louis - Posto di blocco della gendarmerie


St. Louis - Uscendo dalla città

GIORNO 11

Buongiorno, 
sono le 13.30,  ci alziamo. Lorenzo e Caterina, come le ultime due mattine, dopo essersi affacciati alla nostra finestra  qualche ora prima del loro risveglio, si sono già avviati per la “petit dejeuner” (piccola per modo di dire..). 
Ce la prendiamo comoda, apriamo la finestra che si affaccia sulla strada, il cielo è come sempre bianco di sabbia. Non ha fatto troppo caldo in questi giorni St. Luisiani, a differenza delle nostre aspettative: pas male!

Hotel du Palais, conquistiamo una deliziosa pastina, circondati da viaggiatori come noi in cerca di un dolce pit-stop. 
Oggi è giorno di compere e souvenir, abbiamo già adocchiato alcune cose interessanti e comunque non abbiamo scampo: tutti i venditori della città ci conoscono già.
Vi sono solo botteghe artigianali: argento, stoffe, ebano.. 

Entriamo in una traversa, dove passeremo buona parte del nostro pomeriggio. 
Veniamo invitati a sederci, qualche chiacchiera sulla vita, il solito secchiello di brace per il thè, qualche arachide; l’ultima bottega della via è la più interessante, grezza, ma l‘artigiano che la presiede, lavorando il legno a mano, si rivela molto gentile, e naturalmente tenta  di farci comprare qualcosa. Intanto l’ebano viene intagliato in due ciondoli portafortuna, “cadeau” per noi, raffiguranti maschere tribali. L’artigiano indossa un bracciale molto bello, lo notiamo e dopo aver contrattato per il prezzo ne ordiniamo 2, saranno fatti direttamente dal tronco grezzo che giace per terra.

Arrivano due ragazzi, un Marrocchino e un Belga, che si sono incontrati in viaggio: stanno entrambi girando l’Africa in autostop e uno di loro cerca lavoro a Dakar in campo cinematografico. Un po’ di francese masticato male, inglese e spagnolo, e veniamo invitati ad un concerto sulla spiaggia in programma per la serata, a base di Djambè e Fola tipici dell’Africa occidentale.

Ce ne andiamo, ci riposiamo un attimo e poi usciamo con la macchina tentando invano di trovare un bancomat che funzioni visto che siamo riamasti a corto di CFA (la moneta locale). 
Incontriamo il nostro piccolo amico Rasta, Petit, e ce lo portiamo sulla spiaggia. 
Cerchiamo un posto per mangiare, siamo affamati dopo il panino scrio del pranzo, ma  le cucine dei villaggi balneari sono già chiuse. Optiamo per un ristorantino in mezzo al nulla che in primis avevamo un po’ deriso. In un  cortile delle abitazioni circostanti c’è una festa di matrimonio, tutti ballano e ridono: una bella atmosfera.

Varcata la soglia dello "Chez Arame"ci vengono proposte delle polpette di pesce, buonissime; la coppia che gestisce il posto è composta da un Francese e una donna del posto. Siamo i soli clienti, ma il locale è accogliente e la bambina dei due gestori si occupa di distrarci dalla fame. Mangiamo poco, ma davvero bene.

Finalmente sulla spiaggia viviamo una vera e propria nottata come ci eravamo sempre immaginati: chiacchiere, musica, balli e risate, è anche il compleanno di uno dei componenti e il festeggiato è piuttosto alticcio ma felice, si muove intorno al falò a tempo di musica tirando sabbia verso il cielo per la maggior parte del tempo. 

Vengono suonati cinque djambè, accompagnati da canti Senegalesi. 


Tra italiani, belgi, irlandesi e gente del posto ci liberiamo infine ognuno un po’ a modo suo, è una bella serata e possiamo dire che nessuno si è risparmiato. Finalmente spensierati, ci sentiamo un po’ a casa nostra, ed è una splendida sensazione! 


St. Louis - Lavorazione dell'ebano



giovedì 5 gennaio 2012

GIORNO 10

Una vera e propria colazione (all’Hotel du Palais, St. Louis): la prima come si deve da quando siamo sbarcati sul territorio africano. Giorni e giorni di latte solubile, nescafè e improbabili biscotti hanno scatenato una fame in grado di farci  mangiare qualcosa come 10 megapaste nel giro di venti secondi.
Risolto il problema del cibo, la nostra unica preoccupazione è stata quella di girare a zonzo e vedere quanto più possibile di questa città storica del Senegal.
Alla vista di alcune bici mezze disastrate fuori da un negozio di vestiti (nessun collegamento logico apparente) non abbiamo più avuto dubbi: affittiamo le bici.

La preparazione dei bolidi ha richiesto qualche minuto africano, dato che le gomme gonfie erano un lontano ricordo e sono stati riparati i freni di una delle bici con abbondante scotch di carta.
Così, in sella ai nostri destrieri metallici, abbiamo deciso di affrontare la caotica parte di città dove prende vita il famoso mercato del pesce, chiamato Guet-Ndar. A parte il vento che ricordava più la Bora di Trieste che la dolce brezza marittima del giorno precedente, la sabbia ha contribuito a renderci più chiara la situazione, pronosticandoci una giornata di arrancamenti attraverso le strade della città.
In più, il traffico disumano di carri, autobus, capre, bambini e chi più ne ha più ne metta ci hanno costretti a interrompere il nostro cammino e cercare un posto in cui lasciare al sicuro i nostri mezzi di trasporto.
Il negozio da cui avevamo affittato le biciclette 20 minuti prima, convinti di restituirle dopo 5 ore, si è rivelato il posto più adatto dove riporre quelle pessime idee.

Tornati a piedi al punto di partenza del tour, ovvero il mercato del pesce, ci siamo addentrati nel carnaio di animali vivi e morti ed esseri umani, uniti insieme dagli odori di pesce decisamente potenti, per uscirne stremati dopo circa tre ore a piedi.

Un pranzo ristoratore è proprio quello che ci vuole, così ci mettiamo a sedere in un delizioso ristorantino dell’Hydrobase arroccato sul mare, caratterizzato dal pavimento di sabbia, gazebi ricavati da canne e arbusti, e candele a creare un’accogliente atmosfera.
Peccato che il pesce che abbiamo ordinato sia arrivato due ore dopo il nostro arrivo, e così, anziché pranzare alle 5, abbiamo cenato alle 7.

Al nostro ritorno in centro i preparativi per la festa di fine anno si fanno via via più febbrili, e fiumi di gente si riversano per le strade per partecipare a “Le Fanal”, il festival di capodanno di St. Louis, con tanto di coloratissimi carri tradizionali.
In giro c’è una bolgia tremenda, e lo spiacevole inconveniente di sfacciatissimi borseggiatori che ci hanno costretti a rimanere perennemente all’erta ha ceduto il posto ai ben più pericolosi petardi, sparati rigorosamente ad altezza uomo: nulla da invidiare a Napoli. I fuochi d’artificio lanciati in mezzo a ignari gruppi di persone, intente a guardare i razzi che erano fortunatamente rivolti verso l’alto, creava il simpatico effetto di far saltare tutti d’improvviso come deficienti, noi compresi, sia per lo spavento delle deflagrazioni che per cercare di non tornarsene a casa con qualche ustione di terzo grado. Tutto molto pittoresco.

Il ritorno a casa alle ore 4 di mattina ci impone un riposo obbligatorio, a cui ci consegnamo senza riserve.

BUON ANNO!!


St.Louis - Pedalare è sempre affascinante


St.Louis - Scarico dei pescherecci

domenica 1 gennaio 2012

GIORNO 9


Partenza per St.Louis con due ore di ritardo: buongiorno.

Ci concediamo tre giorni per festeggiare un capodanno come si deve lontano da Meckhè, dagli incontri, dal lavoro.

Il cielo non è dei migliori, e il sole si affaccia timidamente sul parabrezza della nostra Chevrolet Spark, che vola sui rettilinei d’asfalto senegalesi.
Tenendo gli occhi aperti sugli automobilisti impazziti, arriviamo a St. Louis padellando con abilità tutti i posti di blocco della Gèndarmerie (almeno 5).

La mattinata è lenta e assonnata, e per buona parte di essa rimaniamo incolonnati nel delirio del mercato del pesce. Come una sveglia mattutina dopo una sbronza, arriva il tamponamento di una lamiera con quattro ruote non meglio identificata. 
Il conducente scende e con non-chalance pronuncia un “bon jour messieur, pardon messieur”, e lentamente risale sulla vettura. Lo spiazzamento finisce solo quando viene rimpiazzato dalle risate a scoppio ritardato.

Arriviamo sull’Hydrobase, ovvero una lingua di sabbia incastrata tra la foce del fiume di St.Louis  e l’oceano, ma torniamo indietro sui nostri passi optando per un alberghetto più in centro e decisamente più comodo.
La città sfoggia case coloratissime in stile rigorosamente coloniale francese (in passato, essa era il fulcro delle poste aeree di tutto il Senegal), e, sebbene i turisti siano numerosi in confronto a Meckhè, il calore e l’allegria del luogo ci fanno dimenticare per un momento il motivo per cui siamo quaggiù, abbandonandoci al vagabondaggio senza mèta fra vicoli e boutiques artigianali.

Il pesce, buonissimo, viene grigliato senza pausa, e con l’equivalente di 5 euro a persona riusciamo a fatica a finire tutto quello che ci portano, sia a pranzo che a cena.

La giornata termina con un concerto di live jazz in stile africano e, con balli scanditi dal tempo battuto dai Djembè, all’1 e 30 crolliamo esanimi a letto (un materasso vero, non gommapiuma per Melania e Jack, cosa che non vale per Caterina, Lorenzo e le rispettive schiene).

 St.Louis - La lamiera che ci ha tamponato




 St.Louis - I colori del Guet-Ndar (mercato del pesce)




 St.Louis - Strade del centro




St.Louis - Scorcio di casa coloniale

GIORNO 8


Un'altra giornata sotto il sole africano ha inizio: la colazione si fa trovare incredibilmente gia pronta ad accoglierci, e questo lieto evento ci predispone positvamente all’incontro con le donne dell’ APROFAC (comitato per lo sviluppo delle donne di Meckhè), previsto per le 9.00. 
Il meeting procede senza intoppi, presidiato dal buon Diop, e ci viene presentato un progetto interessanteper sviluppare un laboratorio per la promozione dell’artigianato locale, i cui ricavati andrebbero in opere benefiche. 
Foto di rito, succo di Baobab, e parte la spedizione per fare i rilievi della biblioteca. 
L’immancabile aiuto dei passanti fa durare l’opeazione solo un’ora,  al termine della quale torniamo alla base per pranzare con le donne dell’ APROFAC. 

Il pomeriggio scorre lento e pacato, rotto improvvisamente dalla chiamata di Diop che ci sollecita a raggiungerlo: abbiamo clamorosamente dimenticato l’appuntamento per visitare il sito dove dovrebbe sorgere il laboratorio. 

Dopo questo ritardo di un'ora siamo diventati ufficialmente parte integrante della città.

 Meckhè - incontro con l'APROFAC




Meckhè - preparazione del pranzo